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Cosmè Tura e Francesco del Cossa

L'arte a Ferrara nell'età di Borso d'Este

Ferrara, Palazzo dei Diamanti

23 settembre 2007 – 6 gennaio 2008

Cosmè Tura

Figlio del calzolaio Domenico, Cosmè Tura nasce a Ferrara probabilmente nel 1433.
Le informazioni disponibili sul suo apprendistato artistico sono scarse. Stando a Vasari, fu suo maestro Galasso Ferrarese, figura quasi mitica degli studi sull’arte estense, noto per la sua amicizia con Piero della Francesca, la cui fisionomia artistica è però ancora avvolta nell’ombra.

La storiografia moderna tende a ridimensionare questa informazione, evidenziando che gli esordi dell’artista sono documentati nel campo della decorazione di oggetti d’uso quotidiano per la corte. Nel biennio 1451-52, Tura è infatti documentato come decoratore di opere come le bandiere con gli stemmi estensi per il Castello o l’elmo concesso in dono al vincitore del Palio, lavori che oggi possono sembrare di scarso rilievo professionale, ma che rappresentavano all’epoca una concezione estensiva di opera d’arte, nonché la maggior fonte di sostentamento delle botteghe attive per le corti italiane del Rinascimento.
Tra la metà del 1452 e l’aprile del 1456 i documenti tacciono: non c’è traccia di Tura a Ferrara. Questo silenzio ha indotto gli storici ad ipotizzarne l’assenza dal territorio estense e un suo soggiorno a Padova, nella bottega del pittore Francesco Squarcione, presso il quale si formò un’intera generazione di artisti, primo fra tutti Andrea Mantegna.
Anche questa è un’ipotesi, spesso messa in dubbio, ma sta di fatto che dagli archivi emerge un dato molto chiaro: Tura diventa pittore in senso più pieno solo dopo il definitivo rientro a Ferrara nel 1456. Questa data sembra essere importantissima per la sua carriera: l’artista compare infatti tra gli stipendiati di corte, addirittura con domicilio in Castello, e sostituisce di fatto il pittore di corte Angelo Maccagnino, scomparso il 5 agosto di quell’anno. Comincia così una febbrile attività che lo vede impegnato, quasi sempre per la corte di Borso, in mansioni differenti che spaziano dalla preparazione di cartoni per arazzi destinati alle camere pubbliche e private del principe alla realizzazione di dipinti come la lunetta, ora dispersa, che decorava la porta del Duomo. A queste date la critica è solita collocare alcuni sui capolavori come la Madonna col Bambino e santi del Museo Fesch di Ajaccio e la Madonna col Bambino della National Gallery di Washington.

Nel 1458 è documentata la sua attività nello Studiolo della delizia di Belfiore, dove l’artista è chiamato a proseguire il lavoro interrotto da Maccagnino. L’intervento di Tura, certamente voluto da Borso in persona, muta sostanzialmente l’originario progetto iconografico approntato da Guarino da Verona, come testimonia la Musa Calliope della National Gallery di Londra e i massicci interventi sugli altri dipinti facenti parte delle serie delle Muse.
Gli anni successivi lo vedono attivo sul fronte della grande decorazione murale: nel 1467 dipinge la cappella di Francesco Sacrati in San Domenico e tra il 1469-72 dipinge per Borso le storie della Vergine per la chiesa nuova della delizia di Belriguardo, opere entrambe distrutte ma ricordate con grande risalto dalle fonti.
Di questa serie assai fitta di commissioni sopravvivono solo le grandiose ante d’organo della Cattedrale raffiguranti l’Annunciazione e San Giorgio che libera la principessa dal drago, pagate al pittore il 2 giugno 1469, capolavoro assoluto del suo percorso artistico nonché punto di riferimento imprescindibile per la ricostruzione della sua carriera.
Con l’ascesa al trono di Ercole I Tura viene immediatamente nominato ritrattista di corte, attività che lo vede impegnato fittamente fino al 1486, quando è sostituito dal più giovane Ercole de’ Roberti.
Tura è ancora attivo nel gennaio del 1490, quando chiede aiuto al duca Ercole per ricevere il pagamento di una pala d’altare eseguita per la chiesa di San Niccolò.
L’artista muore nell’aprile del 1495 e la sua tomba viene collocata nella chiesa a lui cara di San Giorgio fuori le Mura, dove trentacinque anni prima Cosmè aveva ricevuto la tonsura clericale.

Francesco del Cossa

Non sono molte le testimonianze relative alla breve vita di Francesco del Cossa.
La data di nascita, 1436, si deduce dallo scambio epistolare e letterario datato tra il febbraio e il maggio del 1478 tra Angelo Michele Salimbeni e Sebastiano Aldrovandi, nel quale i due letterati bolognesi commemorano la prematura morte del pittore, avvenuta a Bologna all’età di 42 anni.

Il primo documento in cui si rintraccia il suo nome risale all’11 settembre 1456 quando il pittore, sotto la tutela del padre, il muratore Cristoforo, riceve un pagamento per la realizzazione di una Deposizione con tre figure dipinta a finto marmo vicino all’altare maggiore della Cattedrale di Ferrara, opera purtroppo andata distrutta con il rifacimento dell’abside alla fine del Quattrocento.
Nel 1460 è documentato a Ferrara in qualità di testimone in due diversi atti notarili. In entrambi i casi è citato come “pictore” segno di una professione già ben avviata seppure ancora sotto l’egida legale del padre, dal quale risulta però completamente affrancato nel novembre di quello stesso anno.
Nel dicembre del 1462 l’artista si trova a Bologna dove svolge il ruolo di testimone al battesimo del figlio di Bartolomeo Garganelli. Il documento è importante perché attesta la precocità dei suoi contatti con Bologna e la frequentazione della famiglia Garganelli, futura committente dei celebrati affreschi di San Pietro a Bologna.
I documenti, se si eccettua la segnalazione della morte del padre nel 1463, tacciono fino al 1467 quando risulta di nuovo a Ferrara l’11 febbraio. Nel 1467 l’artista dovrebbe essere tornato di nuovo a Bologna, dove fornisce i disegni per la realizzazione della vetrata di San Giovanni in Monte raffigurante la Madonna col Bambino e angeli e per l’altra vetrata raffigurante una Madonna col Bambino ora al Musée Jacquemart-André di Parigi.
Questo silenzio di ben cinque anni, tra il 1462 e il 1467, è stato spiegato dagli storici dell’arte con l’assenza da Ferrara e da Bologna e con un soggiorno dell’artista a Firenze. Le opere eseguite dopo questa data, infatti, denotano una conoscenza di prima mano della cultura figurativa fiorentina che fa capo a Domenico Veneziano e Maso Finiguerra, contraddistinta da una forte propensione al dialogo con la scultura e alla preferenza per una pittura luminosa e cromaticamente vivace.
Agli inizi del 1470 Francesco del Cossa è di nuovo a Ferrara. Il 25 marzo, infatti, il pittore indirizza al duca Borso d’Este una lettera diventata celebre nella quale reclama, con un moto di dignità e di autocoscienza davvero moderne, un più adeguato trattamento economico in relazione alla decorazione della parete est del Salone dei Mesi di Schifanoia che egli ritiene di gran lunga migliore rispetto alle altre porzioni realizzate dagli artisti attivi nel cantiere.

La risposta negativa del duca induce Cossa a ritornare a Bologna, dove si apre un’intensa stagione di lavoro contrassegnata da commissioni di grande prestigio. Per Giovanni II Bentivoglio, signore della città felsinea, restaura e ridipinge entro il 1472 la celebre Madonna del Baraccano, un affresco votivo di grande importanza per i Bentivoglio. Nell’anno successivo è impegnato nella basilica di San Petronio ove appronta i cartoni per due tarsie raffiguranti Sant’Agostino e San Petronio ma, soprattutto, dipinge (con l’aiuto di Ercole de’ Roberti) la grandiosa “macchina pittorica” per l’altare della cappella di Floriano Griffoni. Nel 1474 firma e data la rude ma possente Pala dei Mercanti dipinta per Alberto de’ Cattani e Domenico degli Amorini.
La morte, causata dalla peste, coglie il pittore agli inizi del 1478 mentre attendeva alla decorazione della volta della cappella Garganelli nella chiesa di San Pietro a Bologna. L’opera, terminata da Ercole de’ Roberti, è ricordata con grande risalto dalle fonti e fu particolarmente apprezzata da Michelangelo che, stando a quanto raccontano le cronache, la descrisse come una “mezza Roma de bontà”.